Per voi figli e studenti, per disciplinare voi stessi dovete fare attenzione a quello che vedete e ascoltate. Il vedere e l’ascoltare sono dove la mente si rivolge per prima. Quindi dovreste mantenere sempre un contegno e un’espressione corretti, e non guardare o ascoltare in maniera distratta. Se il vostro sguardo vaga, non state guardando con attenzione; e se vi chinate lateralmente per udire, non state ascoltando in modo educato. Di conseguenza la vostra mente ne è distratta. 

Yamaga Soko (1622-1685), in T. Cleary (ed), Training the Samurai Mind: a Bushido Sourcebook, Shambala, Boston (MA) 2008. [ed. italiana: La mente del Samurai, Mondadori, Milano 2009, pp. 63-64] 

A partire dalle prime lezioni di iaido e per tutta la storia della nostra pratica, siamo educati a volgere il nostro sguardo e ad ascoltare con attenzione. Il primo incontro con questa forma di disciplinamento dell’occhio e dell’orecchio avviene sin da subito nell’esercizio di to rei: in questa pratica siamo educati a distinguere il guardare dal vedere, e nel gestire la spada nel suo spazio dobbiamo fare attenzione a non perdere di vista il contesto più ampio in cui si svolge il saluto, dal momento che il kasoteki è già presente. 

Nell’esecuzione dei kata, il tema della postura e dello sguardo in relazione alle azioni dell’avversario, ovvero il metsuke, comincia a rivestire un peso significativo dopo alcuni anni di pratica, anche se senza dubbio è meglio imparare da subito ad educare il corpo e la mente in quella direzione. 

Spesso quando si parla di questi argomenti interviene la categoria della realtà e della credibilità di un’azione: sguardo e attenzione sono una questione di rihai. Col tempo si scopre che non è così facile e immediato mantenere questo stato di attenzione. Nella pratica, in dojo come in uno stage, è normale essere ripresi dai maestri e dover lavorare con attenzione su un solo aspetto alla volta per poter correggere gli errori che tendiamo ad accumulare da soli. Tuttavia, quando pratichiamo concentrandoci sugli aspetti dell’esecuzione che dobbiamo correggere, spesso perdiamo di vista il tema dell’attenzione richiesto alla nostra percezione. 

Ricordo, in un recente stage del maestro Van Amersfoort, un episodio significativo in questo senso. Una nostra amica e compagna, praticante esperta, doveva correggere un problema di postura durante l’esecuzione di un kata, che avrebbe compromesso la distanza con il suo avversario. Nel tentare di correggersi, periodicamente si interrompeva per oscillare a destra e sinistra e guardarsi i piedi. Il maestro la corresse una seconda volta dicendole di non interrompersi, e non controllare continuamente. Penso che il tema di fondo di quell’ultima correzione avesse a che vedere con il contenuto dei consigli di Yamaka Sogo qui sopra.  

Non vorrei essere frainteso: tutti quanti ogni tanto dobbiamo fermarci e controllare, anzi è un aspetto vitale di autocontrollo e crescita. Il problema sorge quando la nostra pratica si focalizza in tutto e per tutto su un solo aspetto della nostra esecuzione, sia pure importante, facendoci dimenticare non solo dell’avversario, ma anche della nostra presenza percettiva. 

Nello iaido non è facile, ma nel kendo si capisce meglio. Ho visto e sperimentato in prima persona molte volte situazioni in cui, durante un jigeiko o uno shiai, persone si sono lasciate distrarre da un rumore pensando si trattasse di un comando e, dopo essersi voltate verso l’arbitro o l’istruttore che dirigeva lo scontro, sono state presto sorprese dalla shinai dell’avversario. Per esperienza, a volte in un jigeiko pensiamo alla prossima tecnica o controtecnica da utilizzare, e in quello che riteniamo essere un grande stato di concentrazione sul combattimento, ci scontriamo invece con una grande fragilità e debolezza dovuta al fatto che non abbiamo ancora imparato a essere realmente presenti a ciò che stiamo vivendo. Essere colpiti è molto più facile di quanto ci sia dato di esperire nello iaido. Per questo, c’è ancora molta strada da fare.

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