In generale, le arti marziali hanno tre chiavi di lettura: pratica, teorica e psicologica. 
L’elemento pratico significa studiare le forme e le tecniche insegnate dai maestri, rafforzando il corpo, padroneggiando gli spostamenti, imparando a colpire, trafiggere, parare e attaccare. L’elemento teorico consiste nei principi di vittoria e sconfitta. Queste lezioni generalmente insegnano a controllare la calma come questione di principio. Inoltre, le forme e le tecniche trasmesse dai maestri hanno ognuna un principio. La teoria consiste nel comprendere questi principi.
L’elemento psicologico è la padronanza della calma. La padronanza della calma coincide con la mente imperturbabile. 

Adachi Masahiro (attivo ca 1780-1800), in T. Cleary (ed), Training the Samurai Mind: a Bushido Sourcebook, Shambala, Boston (MA) 2008. [ed. italiana: La mente del Samurai, Mondadori, Milano 2009, pp. 224-225]. 

Trovo che questo detto offra una visione di insieme tutt’altro che superficiale del complesso mondo della pratica marziale, e presenta alcuni aspetti didatticamente interessanti anche dal punto di vista del praticante odierno. La riflessione di Adachi Masahiro sembra seguire la struttura logica e cronologica dell’apprendimento di arti marziali come lo iaido: in primo luogo, occorre apprendere l’elemento pratico; vale a dire imparare i kata e i waza, che costituiscono la base, il kihon. Naturalmente, il fatto che l’elemento pratico sia il primo, non significa che sia sostituito progressivamente dagli altri due, ma se mai ne viene necessariamente integrato. In altre parole, non è possibile padroneggiare una disciplina marziale semplicemente facendo filosofia o riflessioni: occorre praticare con perseveranza e serietà, ricordando che la profondità di pratica si costruisce non mediante la collezione di kata diversi, ma tramite la pratica consapevole dei corretti kihon, applicati al contesto appropriato. 

Accanto all’elemento pratico, si accompagna sin da principio l’elemento teorico che consiste in primo luogo nella progressiva razionalizzazione dei movimenti in base alle condizioni reali di combattimento, cioè nel tentativo di migliorare continuamente il proprio rihai. In questo senso, ho l’impressione che il concetto qui espresso con “controllare la calma” faccia riferimento alla corretta comprensione della relazione spazio-tempo con l’avversario, e si traduca banalmente nell’evitare attacchi frettolosi o esecuzioni poco realistiche della tecnica appresa.  

Interessante è il riferimento al fatto che ogni forma e tecnica contenga in sé un principio da comprendere mediante la sua pratica. In fondo questo discorso è una conferma a quanto si diceva poco fa: sarebbe un errore ridurre una tecnica o un kata al semplice lato pratico: in realtà occorrono molti anni per sbloccare realmente queste comprensioni ulteriori, nonostante che dopo pochi mesi di pratica si possa aver appreso superficialmente già un buon numero di kata. Questo è probabilmente uno dei punti che si tendono a sottovalutare di più nella nostra pratica moderna, ed è dovuto al fatto che sono molto poche le persone che si danno il tempo necessario per imparare realmente una disciplina prima di abbandonarla. 

Ed ecco la terza chiave, detta “psicologica”. Essa ricorda da vicino il secondo punto ma lo supera nell’eccellenza: non si tratta solamente di comprendere il principio della calma, bisogna padroneggiare la calma. Sono personalmente convinto di non aver ancora messo in pratica questo principio, che probabilmente è più raro da incontrare di quanto già non appaia. Si tratta del frutto maturo di una disciplina interiorizzata, che assume le caratteristiche di un habitus caratteriale autentico. Senza dubbio, ha a che vedere con la gestione dell’ansia e dello stress che incontriamo quando veniamo esaminati o valutati, ma verosimilmente va ben oltre. Resta come obiettivo guida, principio regolativo del nostro lento progredire nella via della spada. Del resto – e vale come un augurio – l’unico modo per arrivare a sperimentare questa terza chiave di lettura consiste in primo luogo nel volgersi con attenzione alle prime due.

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