C’è un detto: “Lancia una palla nella corrente e non si fermerà”. Ciò significa che se si lancia una palla in un corso d’acqua che scorre rapido, questa cavalcherà le onde senza mai sostare immobile

Takuan Sōhō, Fudōchishinmyōroku XI, in W. S. Wilson (a cura di), Takuan Sōhō. Lo Zen e l’arte della spada, traduzione italiana a cura di P. Gonnella, Mondadori, Milano 2001, p. 51. [ed. or: The Unfettered Mind, Kodansha International Ltd., Tokyo 1986.] 

In questa pagina del suo Fudōchishinmyōroku il maestro di Izushi cita un detto che si trova in una celebre raccolta cinese di kohan del XII secolo, il Pi Yen Lu, la “raccolta della roccia blu”, nota anche con il nome giapponese di Hekigan-roku. Il testo, che riveste una particolare importanza per la corrente Rinzai del Buddhismo Zen, permette di accedere, attraverso la meditazione di espressioni apparentemente semplici e quotidiane, alla comprensione intuitiva (cioè non-filosofica) di alcune verità sull’essere umano e il mondo che lo circonda.  

In particolare, l’osservazione di per sé banale di una palla lanciata in un torrente che non stazionerà in un luogo fisso, ma fluirà nella medesima direzione delle acque che la trasportano, permette alcune considerazioni analogiche sullo stato della mente presente nella pratica marziale. Il contesto del kohan originario è interessante anche al fine di comprendere l’intenzione di Takuan Sōhō nel proporlo nel contesto di una riflessione sull’uso della spada: 

Un monaco domandò a Chao-chou: “Un neonato possiede le sei percezioni?” Chao-chou rispose: “Getta una palla nella corrente rapida”. Il monaco chiese allora: “Cosa vuol dire ‘getta una palla nella corrente’?” T’ou-tze rispose: “non si ferma mai”. 

Il punto interessante consiste nel fatto che già nel kohan originario si tratta di comprendere come un bambino percepisca la realtà. Il fatto che Takuan Sōhō integri questo detto all’interno di una riflessione sullo stato della mente durante il combattimento dice qualcosa sul tipo di apertura che occorrerebbe apprendere nel corso di una vita di pratica marziale. 

Occorre imparare a dimenticare, cioè ritornare allo stato di apertura intuitiva del bambino, già in grado di nuotare senza aver preso neppure una lezione di nuoto. Il fatto che la mente del neonato non si fermi mai la pone nello condizione favorevole dell’apertura all’apprendimento e all’esecuzione spontanea di ciò che le sarebbe altrimenti difficile, se non impossibile, apprendere.  

Lo abbiamo detto più volte anche analizzando precedenti pagine del maestro: la mente che si fermi, anche nella concentrazione seria su un singolo oggetto, verrà da quella medesima concentrazione altresì impedita. Eppure, la rapida corrente ha una direzione.  

Credo non sia banale notare che la palla che non si ferma segue la corrente, sa dove sta andando. Non può agire contro-corrente, e seguire un cammino diverso. In questo senso, anche l’esperienza storica che ciascuno di noi affronta nel proprio tragitto lungo la via richiede una direzione, e il percorso effettivamente compiuto dal punto di incontro della palla con l’acqua e l’arrivo alle foci del fiume non è indifferente. 

A mio avviso il rischio più grande di leggere queste parole a partire da una lettura occidentale della vita consiste nel confondere la condizione della mente che non si ferma con la categoria della spontaneità. Non si tratta affatto di questo: la spontaneità è un valore tipicamente occidentale e comunque assai recente, che ha a che vedere con un concetto di unicità dell’individuo che non appartiene alla cultura giapponese. La mente può arrivare alla condizione della palla nella corrente non per un suo talento intrinseco, ma soltanto attraverso il percorso della corrente stessa, cioè, fuori dalla metafora, attraverso il tragitto esperito nella via. Questo raggiungimento è in ultima analisi l’esito di un percorso, lungo e anche faticoso, di disciplinamento del proprio pensiero, e coincide con un umile esercizio della pratica protratta nel tempo.

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