Un giorno il maestro disse al figlio adottivo Gonnojo: «il momento presente è uguale a ogni altro momento decisivo e ogni altro momento decisivo è simile al momento presente.»

Yamamoto Tsunetomo, Hagakure II,47 (trad. L. Soletta)

Per quanto curiosa possa sembrare questa affermazione, il tempo in sé non esiste. Gli esseri umani hanno constatato il continuo mutare di loro stessi e della materia intorno a loro, e nel rendersene conto, segnando forse il passaggio dallo stadio animale a quello propriamente umano, hanno compreso la realtà attraverso le categorie di causalità e successione numerica. La nascita del prima e del dopo, dell’inizio e della fine, sono legati a doppio filo con una rappresentazione grafica del cambiamento della realtà in base all’esperienza umana. Gli umani nascono, vivono e muoiono: fanno esperienza di diversi momenti decisivi e hanno in qualche modo cercato di misurare in base a questa esperienza ogni fenomeno della realtà che li circonda. Su un piano cartesiano, ogni avvenimento empiricamente osservabile si muove lungo un asse t.

Parlare di questo aspetto dell’esistenza connaturato all’essere umano in quanto tale spinge a chiedersi come le diverse culture abbiano interpretato la loro idea di tempo. Naturalmente ci sono stati diversi tentativi di concettualizzare o comprendere quest’esperienza, ma in occidente si è fondamentalmente fatto ricorso alla geometria piana: una retta, una semiretta-orientata, un cerchio, una spirale, un segmento. In tutti questi casi, pur molto diversi sul piano delle implicazioni profonde a cui conducono sul piano filosofico, il tempo è essenzialmente concepito come sequenza numerica, come successione di momenti in un’inesausta corsa del presente verso il futuro e del futuro verso il passato.

Ma cosa accadrebbe se pensassimo alla nostra vita non in termini di successione (finita o infinita che sia) ma in termini puntuali? Il punto in geometria è un luogo geometrico privo di dimensioni.
Proprio come il momento presente che è appena passato. La sfida del Faust di Goethe all’intera esistenza umana consiste in effetti proprio nella disillusione radicale nel poter vivere con pienezza una realtà che valga la pena di essere vissuta nel solo decisivo istante: Se dirò all’attimo: “Sei così bello, fermati!” allora tu potrai mettermi in ceppi, allora sarò contento di morire!

Inutile dire che il passo di Hagakure che ho scelto di condividere in questo articolo non può essere semplicemente esaurito in un commento prolisso e verboso. Credo vada colto nella sua immediatezza, meditato con attenzione nel lento susseguirsi di istanti che ci condurranno ad una più chiara percezione di noi stessi e della realtà in relazione a noi.

Sul piano pratico, credo sia decisivo per la pratica delle arti marziali, dove pure fattori come il tempo, il ritmo, lo spazio di un’azione non possono che muoversi su un piano cognitivo in qualche misura osservabile e condivisibile, comprendere il decisivo valore dell’unità del tempo nel momento presente. Questo senza dubbio non può che condurre ad un esercizio più consapevole e rispettoso di ogni movimento che siamo chiamati a compiere.

Certo, un conto come sempre è la comprensione teorica, un conto è la realtà di una pratica esperienziale. Il budo come tale non è filosofico, ma è fondamentalmente esperienza pratica. Per questa ragione ho l’impressione che questa descrizione debba in primo luogo concretizzarsi o manifestarsi nella pratica sincera e perseverante della nostra via, nella nostra vita.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here