Il drago è la creatura con la più grande energia positiva, tanto che può librarsi in cielo anche senza ali. Eppure generalmente resta raggomitolato in acque calmissime. Nello stesso modo un uomo dotato di autentico coraggio marziale coltiva se stesso con costanza.

Kumazawa Banzan (1619-1691), in T. Cleary (ed), Training the Samurai Mind: a Bushido Sourcebook, Shambala, Boston (MA) 2008. [ed. italiana: La mente del Samurai, Mondadori, Milano 2009, p. 54]

Se c’è una creatura del Sol Levante che ha avuto grande impatto sull’immaginario europeo, quella è senza dubbio il drago. Questo curioso essere serpentiforme, reso celebre dalle illustrazioni e le stampe importate da oriente, ha davvero poco a che fare con i draghi del folklore occidentale: laddove questi sono avidi e malvagi, legati a forze oscure, irrazionali o caotiche, i draghi orientali sono creature buone, equilibrate, e, nelle parole di Kumazawa Banzan, dotate della più grande energia positiva. Il fatto che non possiedano immense ali da chirottero per poter volare nei cieli, come i loro parenti occidentali, la dice lunga sulla loro illuminazione spirituale. Il loro volo non dipende da azioni fisiche, ma da un puro esercizio spirituale.
Tutto questo può essere folkloristico e interessante, ma resta da chiedersi per quale motivo il nostro autore premetta questo esempio sul drago alla sua ultima affermazione sul coraggio marziale.

Seguendo la similitudine di Kumazawa Banzan, l’uomo coraggioso sta al drago, come la costanza sta all’apparente calma e docilità del drago. Ora questo non è immediatamente intuitivo. Il fatto che il drago, pur potendo librarsi in aria, preferisca dormicchiare in fondo a qualche laghetto non sembra rimandare ad uno specifico modo di lavorare su noi stessi con costanza.
Ho l’impressione che l’esegesi di questo passo richieda in qualche modo di comprendere di cosa sta parlando più in generale l’autore. Nelle pagine precedenti, Banzan si è occupato di definire come sia possibile il riconoscere il valore in un combattente, o meglio: la forza e la debolezza nelle persone. Per questo motivo non è soltanto per una nota di colore che a conclusione di queste riflessioni si ponga l’esempio del drago: potente e illuminato, ma del tutto disinteressato nel manifestare a tutti i costi le sue virtù.

Nell’esercizio del budo, occorre mantenere un basso profilo. Questo non significa affatto agire ipocritamente ostentando falsa umiltà, ma neppure agire come esaltati coltivando l’ego nelle proprie acquisizioni temporanee. Il fatto che il drago giaccia sul fondo del lago ha probabilmente a che vedere con il fatto che durante la pratica marziale occorre farsi attrarre dagli elementi apparentemente più umili della pratica, e solo attraverso la pratica costante e perseverante di essi sarà possibile giungere all’illuminazione propria del drago. Quanto può essere fuori luogo ostentare la conoscenza di molti kata complessi se poi non si è in grado di praticare kihon? La calma del drago è misura del suo reale potere spirituale, e questo dovrebbe valere anche per noi esseri umani. Mantenere uno spirito concentrato e attivo anche nelle acque calmissime dei nostri dojo è probabilmente il modo migliore per poter progredire con onestà nel cammino marziale; un cammino che richiede il coraggio lento della perseveranza, contro la tentazione dell’immediatezza e dell’acclamazione dell’io. Può darsi che il fatto che i nostri draghi occidentali abbiano le ali parli anche di noi e di come ci piaccia tutto sommato immaginare un volo immediato e concreto, rispetto a quello spirituale dei draghi nipponici. Sia quel che sia, forse anche noi dobbiamo ripensare i nostri tentativi di volare.

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